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CLASSICS SPECIAL

 

ARMAGEDDON ‘Armageddon’ (A&M, 1975)

Nel 1975, mentre - per menzionare soltanto la “sacra triade” dell’hard rock britannico – i Deep Purple sconfinavano in territori pericolosamente vicini al funky (peraltro rimanendo su vertici di prima grandezza), i Led Zeppelin aggiustavano la loro formula sonora assemblando materiale più rifinito rispetto agli esordi nel doppio ‘Phisical Graffiti’ (disco comunque grandissimo!) e i Black Sabbath farcivano il loro heavy sound con arrangiamenti quasi orchestrali nell’iper-prodotto ‘Sabotage’ (tuttavia autentico capolavoro!), ecco che una band dal nome apocalittico, ancora oggi immeritatamente sconosciuta ai più, dette alle stampe un album in cui l’hard rock suonava diretto ed esplosivo, psichedelico ed elettrico come se fosse nato giusto allora, senza cioè che certe tentazioni progressive – pur presenti a livello compositivo e strutturale, basti dare una scorsa alla durata estesa dei brani – si fossero già insinuate tra le pieghe del genere in fatto di ricerca musicale e soluzioni espressive. Se le registrazioni furono effettuate negli States per la A&M, in realtà gli Armageddon erano per ¾ inglesi (e si sente!) dato che solo il batterista Bobby Caldwell vantava natali a stelle e strisce. Tuttavia considerare gli Armageddon come una delle tante band del periodo, non sarebbe soltanto una limitazione, bensì un errore marchiano; in realtà il four-piece ha tutti i crismi del super-gruppo: alla voce e all’armonica troviamo, infatti, Keith Relf, leggendario frontman dei seminali Yardbirds, più tardi nei Medicine Head e nei Renaissance; alla chitarra Martin Pugh, presente sull’esordio solista di Rod Stewart e poi con i grandi Steamhammer; la sezione ritmica era infine composta dal bassista “prezzemolo” Louis Cennamo (Herd, Jody Grind, Colosseum, Steamhammer) e dal già menzionato batterista Bobby Caldwell (Johnny Winter, Rick Derringer, Captain Beyond e persino una partecipazione in veste di percussionista ospite nello storico ‘At Fillmore East’ dell’Allman Brothers Band).

Il disco si presenta con gli oltre otto minuti di ‘Buzzard’, autentica prova di forza del quartetto: su un ritmo serrato Martin Pugh proietta un affilatissimo riff di chitarra (sviluppando una vecchia idea di quando era con gli Steamhammer) che farà sbavare dall’invidia molti axemen dell’era speed e trash della decade successiva; a coadiuvarlo nella folle corsa si esalta l’ispirato basso di Cennamo che spinge costantemente la band a superare sé stessa; a cappello poi di tanta maestria ecco che nel finale Keith Relf rispolvera l’armonica del periodo Yardbirds per creare una sospensione abbastanza singolare (pare di udire il ronzio di un mosquito) prima della furiosa chiusura da parte del resto della band. Stessa identica durata (vale a dire 8’ 20’’) per la successiva ‘Silver Tightrope’, psichedelica ballata che però non cerca di ammaliare l’ascoltatore con melodie ruffiane, si tratta piuttosto di una traccia ambigua, dal respiro profondo quasi fosse quello di una lontana galassia, che reca con sé un fascino alquanto misterioso: da un lato ci si immerge in un’atmosfera lirica e sognante (si possono ascoltare gli echi degli Yes e, in effetti, pur non raggiungendo certo i medesimi livelli, la voce di Keith Relf qui ricorda vagamente quella del grande Jon Anderson), dall’altro il pezzo – complici alcuni sapienti effetti di registrazione – trasmette al tempo stesso meraviglia e paura, sensazioni simili a quelle che (lavorando di fantasia, giacché il testo non lo prevede) potrebbe provare un astronauta al momento dei suoi primi incerti passi sul suolo di un pianeta inesplorato. ‘Paths And Planes And Future Gains’, esplosiva dall’inizio alla fine, eleva di nuovo Martin Pugh a livelli stratosferici, mostrandocelo chitarrista ispirato nel solismo e incisivo nella ritmica. ‘Last Stand Before’, magnificamente ripetitiva, incalza da subito col suo ritmo sospinto, mai banalizzato peraltro dai fulgidi talenti di Caldwell e Cennamo.

Nei suoi ultimi quattro minuti il pezzo offre una coda strumentale spettacolare, degna dell’hard rock più celebrato: sul robusto e coinvolgente giro di basso e batteria, la solista di Pugh duella all’ultimo sangue con l’armonica indiavolata di Keith Relf, stridula e arrampicata su note talmente alte da sembrare prossime alla dissonanza. La conclusiva ‘Basking In The White Of The Midnight Sun’ è una suite di oltre 11 minuti che si divide in quattro parti: la furia degli Armageddon non stempera certo proprio qui, atto finale del disco, summa del loro hard fantasioso e senza freni. Dopo la rumorosa intro di ‘Warning Comin’ On’ e il convulso movimento che dà il titolo all’intera track, ove ci pare di sentire pure il contributo di un organo Hammond mixato molto “sotto”, si passa alla più morigerata ‘Brother Ego’ che va segnalata per il bellissimo assolo di Pugh che ricorda da vicino certe fughe hendrixiane e per un finale mozzafiato ove prima armonica e batteria si concedono un breve proscenio e poi la band al completo insiste con coralità quasi sinfonica su cadenzati accordi lunghi; si torna infine al tema centrale dell’intero pezzo che dopo l’ultima sgroppata al fulmicotone chiude l’album con ardore titanico. Dopo il tentativo abortito di un secondo LP con (a quanto si dice) Jeff Fenholt in luogo del dimissionario Keith Relf, le carriere dei quattro si dividono. Se Martin Pugh sparisce subito dalle scene, il mitico Keith si dà un gran daffare per organizzare la riformazione dei vecchi Renaissance sotto il nuovo monicker Illusion; quella di tornare a suonare in una band al fianco della sorella Jane,però, rimane davvero un’illusione, giacché il 14 maggio 1976 una violenta scarica elettrica lo fulmina mentre sta provando la sua chitarra.

 Louis Cennamo torna a farsi sentire proprio negli Illusion per lo spazio di due dischi nel biennio ‘77/’78. Bobby Caldwell, infine, prima di eclissarsi nell’anonimato degli eroi sconfitti, prova a dare nuova linfa al progetto Captain Beyond realizzando nel 1977 il terzo ed ultimo disco della loro fantastica saga assieme a Lee Dorman, Larry “Rhino” Reinhardt e Willy Daffern. Poi il silenzio. L’alternativa oggi è soltanto una: far rivivere la vecchia magia alzando a manetta il volume del proprio stereo (il disco è stato ristampato in cd anche dalla tedesca Repertoire) e spararsi in cuffie le splendide note di ‘Armageddon’, suggestivo momento d’incontro tra quattro artisti dalle qualità immense. (Vanni Jahier)

 

                        

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