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A tu per tu con Patricia Wolf, l’autrice di "C’era una volta il metal"(di Umberto Stefani)

 

Ora dopo tanti anni come giudichi i tre racconti che hai scritto, li consideri importanti per la tua evoluzione artistica e come mai hai deciso di ristamparli? Mi piacciono sempre. Forse, andando avanti nel tempo, ho perfezionato il linguaggio. Ma ci ritrovo dentro quel mio stesso spirito di eterna ribelle che non sparirà mai. Ho voluto riproporli in una trilogia per spiegare forse ai metallari d’oggi com’era il primo metal quello dell’ondata inglese dei Saxon e Motorhead, quello che s’opponeva al pop facilotto e al dark. Quello che m’ha conquistato. Penso che sia giusto conoscere le radici della musica che t’ha preso il cuore e la testa. E’ come scandagliare le radici di un mito, scoprire com’è nato, come si è affermato.

Come sono nati questi romanzi, e come furono accolti dal pubblico allora? Ti sembra che i giovani metallari di oggi possano comprendere un periodo così lontano?

Sono nati dalla mia immensa passione. Era 1’85 ed uscivo da una terribile esperienza. M’ero vista sparire quasi sotto gli occhi in un boato infernale due mie amiche, due ragazze di vent’anni con cui dividevo grandi ideali. Una moto contro un pullman turistico ad un incrocio e addio. Sono rimasta da sola a spingere i miei pugni contro il cielo e penso di aver promesso a loro, dal fondo dell’anima che non avrei mai tradito quegli ideali. In quel momento, in giro come musica c’erano il metal e la new-wave. Certo non potevo affidarmi alle note di Madonna, Michael Jackson, gli Wham, gli Spandau, i Duran. Avevo bisogno di emozioni forti che esorcizzassero il mio dramma, avevo bisogno di gridare con lo stereo a tutto volume, magari sorseggiando whisky come i miei miti, alla faccia del mondo che ti rapisce sempre un sogno. Non smette mai. Ho scritto "Cuore di metallo" per raccontare la scoperta del metal da parte di ragazzi provenienti da mondi e culture diverse. All’epoca c’erano HM e forse Metal shock in edicola e il libro è stato accolto bene. M’hanno anche invitato in una radio ed il conduttore, un ragazzo innamorato del metal, m’ha detto d’essersi commosso e identificato ed ha citato quel pezzo dove ricordo Cliff dei Metallica. Soltanto, il direttore m’ha chiesto di spingere un po’ più l’acceleratore nel prossimo. Metterci più sangue, più droga. Ho stretto i denti. Detesto l’imposizione, ma sono riuscita a realizzare tutto a modo mio. Hard road è forse il più bello dei tre. C’e’ questo spirito di gruppo che spinge a cacciare lo spacciatore e quel personaggio di Robin, contestato dai suoi perché non produce, vive solo con la musica infernale dei suoi Slayer e le corse in moto in cui ho speso tutta la mia voglia di contrastare gli stereotipi. In Obiettivo street invece ho raccontato la lotta dei metal-kids per difendere la loro musica ed il loro look dall’attacco dei paninari che, grazie al boom dei Guns and Roses, volevano usare il chiodo e gli anfibi e volevano fare dello steet-metal un’ennesima moda da facile consumo. Sì, sono sicura che i ragazzi che hanno voglia di capire, capiranno. I paninari non ci sono più ma i carrieristi e i figli di papà esistono ancora. E andare contro la loro musica facilotta, si può e si deve.

Scriverai o hai già scritto altri racconti sul metal ? Quale sarà la tua prossima pubblicazione? In tutte le mie storie c’è lo spirito metal. In "A sedici anni ero uno dei Byrds" c’è lo spirito di band nei garage ed un personaggio che ha speso nell’hard rock tutta la sua esistenza. Anche in "Fuori dal gioco", la raccolta di racconti in uscita, ci sono moltissime figure che incarnano quello spirito, citazioni di gruppi, episodi che si riallacciano a quel momento storico. Io mi sento un po’ come loro e non smetterò mai di esaltarli anche se i nuovi eroi di questo genere musicale non li ascolto quasi più. La vita ti fa sterzare improvvisamente verso altre strade e dentro di te nascono nuove esigenze. Ho seguito anche la black-music ed ora la musica elettronica perché corrisponde alle mie esigenze attuali. Mi identifica.

C’é un personaggio nei tre racconti che puoi considerare autobiografico forse: Marzia con la sua macchina fotografica in "Obiettivo street" oppure Monica in "Cuore di metallo" o chi altro? Ho scelto questi due personaggi perché istintivamente li sentivo legati all’autore. Autobiografico? Sicuramente Monica di "Cuore di metallo", la giornalista che s’unisce ai ragazzi per raggiungere il raduno di Donington. Ma anche personaggi maschili: ci sono in Max, in Alex, in Michi, in Ramon. Nella loro rabbia, nelle loro crociate. Anche in Tiziana di Hard Road che s’era scelta come compagno di ventura per esplorare la strada e la notte un quasi-sosia di Lemmy dei Motorhead che giocava a fare il ‘brutto sporco e cattivo". Ed anche Marzia che scatta con la sua reflex scorci di vita metallara qua e là ....

Leggendo i racconti, i personaggi da te creati sembrano degli antichi guerrieri dall'indole romantica ognuno a suo modo, perdenti e vincenti allo stesso tempo!! Sei d’accordo con me? Guerrieri allo stato puro. D’altronde, uno dei miei pseudonimi è "the warrior". L’ho scritto anche sullo sfondo del mio Pc. Guerrieri che s’inoltrano con le armi che trovano, a volte solo con la loro rabbia contro la vita. Un po’ romantici. Anzi, rock-mantici come non smetterò mai di sentirmi io. Anche i personaggi di "Fuori dal gioco" sono così. Perdenti o vincenti, non so. Sicuramente diversi. Non sopporto gli ingruppati, gli incolonnati. Quelli che arrivano sempre primi, quelli che seguono troppo le mode e inseguono l’omologazione pur di svettare. Per me la vita è fantasia ed anche baruffa anche solo mentale. For ever. In "Hard road" hai affrontato il problema della droga, allora era effettivamente considerato tabù dalla società, infatti era la prassi considerare il figlio tossicomane come una vergogna da nascondere e la sua morte inevitabile, un fatto da dimenticare come se non fosse mai esistito, inoltre ai sfidato il luogo comune che definisce i metallari come dei drogati.

La droga e una brutta bestia. Ma sono dell’idea che andrebbero castigati e violentemente gli spacciatori, i clockers. Con questo, non voglio dire che chi si fa fare il lavaggio del cervello sia solo un agnello sacrificale. Spesso ci prende gusto. Ma sfatiamo il mito del metallaro drogato. La droga c’è stata fra gli yuppies anche se magari era coca. E c’è nella cultura dei ravers sotto forma di ecstasy ed altre pasticche. C’è e basta. Dobbiamo contrastarla. Ma non attaccandoci ai luoghi comuni. Cercando di capire i motivi per cui ci si rifugia. Ed aiutandoci uno con l’altro a liberarcene. Io personalmente non l’ho mai vissuta come esperienza. Ma c’era un periodo che m’ha minacciato l’alcol. E ci ho messo un po’ per liberarmi da questo fantasma. Era troppo esaltante andare su di giri la notte col whisky o i cocktail superdosati e poi vedere il mondo meno minaccioso, sentirsi Superman. Ma poi il giorno dopo t’accorgevi di quant’eri balordo.

L' heavy metal può essere considerato una cultura e non sono forse i metallari una "etnia" che come qualsiasi minoranza cerca di mantenere le proprie radici per non scomparire soffocata dalla massa? Ma un ideale può soddisfare completamente il nostro io ? Solo perché lottiamo per esso e probabilmente non raggiungeremo mai la sua realizzazione, quindi il solo battersi può bastare al nostro animo? L’ideale è tutto. Magari cadiamo e ci rialziamo a fatica e ci viene anche in mente che sarebbe meglio somigliare ai nostri vicini di banco che pensano meno, fanno scelte più banali e non si ritrovano mai davanti spauracchi. Ma è troppo grandioso affermare le proprie idee e sentirsi coerenti. Non aver mai voglia di sputarsi in faccia anche se si sa che non sarà mai il nostro, il best-seller che espongono le vetrine dei grandi librai o i negozi di dischi doc. Pazienza, arriveremo a pochi eletti ma almeno saranno uguali a noi, si specchieranno nelle nostre storie, nelle nostre fantasie.                      

Essere "contro" oggi è veramente difficile; anche il non e allinearsi é diventato una moda con degli status symbol per esempio chi si definisce "contro" deve ascoltare i: 99 posse o Manu Chao e si devono avere abiti logori dal sapore etnico; due modi di concepire la vita due mode da sfruttare!!!! "Essere contro" è difficile sempre. Alla fine anche l’anticonformismo diventa moda. Basta pensare ai sessantottini che senza eskimo e clark erano finiti. Gli davano del "fascio". Però a me personalmente non e mai difficile contrastare l’ideologia degli altri. Forse perché ho sempre rifiutato gli schemi correnti, mi sono formata per conto mio. Andando anche oltre i preconcetti di una famiglia borghese ed iperprotettiva e i richiami di una generazione che vedeva solo nella politica la strada per opporsi. Invece, fin da ragazzina, ho sentito forte la necessità di affidarmi alla musica e alla fantasia. Sono stati loro, i miei Dei. Non riuscirei mai a scegliere un look, un disco, un libro, un film solo perché me lo impone la società . Mi sentirei una pecora che cerca il suo gregge. Forse è anarchia, forse è individualismo. Ma mi ritrovo spesso a contestare a certi ventenni questo ritorno alla musica italiana, questo obbligarsi ad andare ai grandi concerti tipo quello organizzato per lo scudetto della Roma l’anno scorso. Trovo falsi certi appuntamenti, non mi ci riconosco. Sembra quasi un obbligo, come indossare l’abito elegante alla cerimonia. Ed anche rasarsi e farsi i tatuaggi a volte è quasi un passaggio forzato. Se non lo fai, sei fuori dai giochi, non t’accettano nel tuo gruppo. Il Circo Massimo lo adoro per sdraiarmici e parlare per ore, la sera quando c’e’ poca gente, d’estate, magari con un trancio di pizza a taglio. Non sarò mai da ostriche e champagne, questo è sicuro. Ma allo stesso modo contesto agli ultraquarantenni d’aver smarrito il gusto del rinnovamento e saper solo criticare ai loro figli il modo di conciarsi e la musica che ascoltano. E detesto pendere dalle labbra di chi parla in TV. Io ho quintali di VHS e DVD e con i miei amici guardo quelli. Mi piaceva MTV per i videoclip ma oggi più che altro guardo le partite su Telepiù anche se, pure il football, è diventato uno show-business.

Hai scritto un libro dal titolo:"A sedici anni ero uno dei Byrds" sul conflitto generazionale, che credo nel futuro con le nuove tecnologie e la società che cambia pelle continuamente, sarà sempre più grave!! Forse più dei conflitti degli anni sessanta e settanta.La società va avanti. Impara a clonare gli uomini ma non riesce a salvarli, troppo spesso. Tutto, con le nuove tecnologie, si affida alle macchine e l’uomo disimpara a pensare ed anche a parlare, a confrontarsi. I conflitti degli anni sessanta e settanta erano per liberarsi dai tabù, per conquistare le prime chiavi di casa, far capire ai più anziani che i giovani avevano una voce da far sentire ed i loro miti non erano fasulli e ridicoli. C’erano i leader neri e c’era la voglia di cambiare. Molte battaglie si sono esaurite in un paio di clark ormai consumate che non avevano più voglia di camminare ed un imborghesimento precoce, diventando capi nelle fabbriche che fino all’altro ieri si contestava. Penso che uno dei grandi problemi di oggi sia la disoccupazione. Ed è per questo che dopo i trent’anni molti ragazzi vivono ancora coi genitori e non hanno nessuna voglia di metterli in discussione.

Gli anni settanta sono stati per chi come me li ha affrontati anni dopo qualcosa di incredibile sia intellettualmente che musicalmente soprattutto per il punk e la nascita del hard rock!!!! C’ era tanta voglia di cambiare e rompere con passato, vero ? Gli anni 70 erano chitarre sbatacchiate sul palco, linguaggio che si stava evolvendo, capacità di mettere al muro tutti con le parole. Il grande rock che s’affermava accanto ai cantautori ultrapoliticizzati che spesso facevano fin troppo i poeti anche se il loro cachet serale alto lo pretendevano e come. Gli anni 70 erano libertà, lotte per l’emancipazione anche femminile. Erano cinema d’essai, film impegnati che ti spalancavano il cervello. Ma sono serviti? Purtroppo dopo sono arrivati gli anni 80 che hanno fatto esplodere il culto dell’immagine e per i ragazzi e’ stato più importante vestirsi bene e tendere al successo. Oggi, il tipo insulso lampadato e palestrato mi fa un po’ rabbia. Cerco ancora nei ragazzi capelli lunghi e passione nell’inseguire un assolo tempestoso di chitarra.

Quali sono i tuoi migliori ricordi legati al metal, credo che chi lo ha ascoltato abbia degli aneddoti da raccontare sia in negativo sia in positivo, come una rissa, un concerto o l'incontro con nuovi fratelli

Ricordi? Uno su tutti. Il Monsters of rock del 90. Ci andai come inviata per la mia agenzia, non so come l’ho convinti. C’erano gli Whitesnake di David Coverdale, gli Aerosmith, i Quireboys i Poison, i Faith No More. Mi ricordo tanti ragazzi arrivati coi loro saccoapelo dalla notte prima, sparsi qua e là. Grande spirito di gruppo. Giravo col registratorino per chiedere qual’erano le loro idee, le loro passioni. Mi mischiavo a loro, mi sentivo una di loro. Lo ero. Un ragazzo di neanche sedici anni strabuzzava gli occhi guardando Steven Tyler, il leader degli Aerosmith. Voleva salire sul palco e cantare con lui. Mi ricordo le docce con la pompa dell’acqua quando c’era troppo sole ed un improvviso acquazzone che ci inzuppò tutti. Mi ricordo la mia amica che scattava foto da sotto il palco e il leader dei Faith No More che sputava in faccia a Bret dei Poison. Lo so che tu non hai mai amato il glam. Ma per me ha avuto senso anche quello ed attraverso Axl dei Gunners ho riscoperto gli Hanoi Rocks e poi tutti i gruppi anni 70 fra cui i Mott the Hoople e lan Hunter che m’ha ispirato un fanta-thriller. Amavo la loro musica, i loro colori, anche quel senso di festa continua anche se il vero metal è polvere e sudore e rullate di batteria, riff rabbiosi. Oddio … un altro ricordo mi passa per la mente. Il concerto degli Europe al Palaeur alla fine dell’86. Purtroppo con gli Europe il metal stava diventando da classifiche di vendita e sentirli dal vivo fu come una pugnalata. Bei faccini e nient’altro. La musica forse, neppure sapevano cosa fosse oltre quel riff accattivante nel loro "The final countdown".

Nelle note, viene nominato il grande scrittore Bukowski che anche io trovo grandioso per come riesce a costruire ambienti malsani e che odorano di strada, pensi abbia influenzato il tuo modo di scrivere?Beh non ci crederai, ma Bukowski l’ho scoperto molto dopo aver scritto questi racconti. Anche quando ho pubblicato "The last concert" (le poesie dedicate alle mie amiche) dissero in radio che avevo dentro la stessa filosofia e lo stesso ritmo della beat generation di Kerouac e Ginsberg ed invece non avevo ancora assaggiato neppure le loro pagine di vita vissuta e sofferta. Per me il linguaggio deve essere sound, deve ritmare i momenti di vita e le storie di strada ed emarginazione di Bukowski evidentemente mi appartenevano come patrimonio mentale e genetico. Quando l’ho letto la prima volta, l’ho sentito vicinissimo a me. Come per certi versi sento vicina a me la chemical-generation di Welsh e tutto il mondo anglosassone e leggo anche le storie di ultras di John King anche se detesto certi estremismi che portano a dar botte a destra e a manca, inveendo anche su chi non c’entra. Mi sento "stradaiola" però mai da salotto. Forse per questo non farò mai carriera.L’ heavy metal è diffuso in tutto il pianeta pensi sia un fatto positivo per il genere? Può essere l’occasione per un arricchimento culturale.Il metal deve viaggiare. Deve evolversi. Deve assimilare tutto quel che può potenziarlo. Ma mai scordarsi delle sue radici. Mai dimenticare i grandi precursori a cui deve la sua grandezza. Anche se, lo ammetto, me ne sono staccata proprio nel momento in cui ha preso la via del crossover. Forse in fondo sono una purista.

Qual è il tuo rapporto con la tecnologia ?Un rapporto odiamore. Mi serve il Pc per velocizzare tutto anche se a volte mi va il cervello in tilt quando uno sbalzo di tensione ti fa ricominciare tutto da capo. Ho lo stereo col CD e il Tv con lo schermo piatto e il DVD ed anche la play-station visto che sono una fanatica dei videogiochi sopratutto di macchine e moto. Ma penso che Internet può anche uccidere la fantasia, volendo. Soprattutto se a sedici anni impari a conoscere solo il linguaggio degli SMS e delle chat. Mi ricorda tanto una mia amica diciottenne ed ex panozza che nell’87 giudicava un delitto mettere al contrario la cintura del Charro anche se per lei era logico sbagliare i verbi. Internet però spesso guarisce tante solitudini e crea nuove amicizie ed anche amori come descrivo nel mio www.emotions.net. L’importante ovviamente è non farsi risucchiare da questo vortice. Sapere che esiste anche altro. Prima di tutto il dialogo a tu per tu. Ed anche qualche buon libro da leggere che può ampliare gli orizzonti. Ed una musica che non è solo campionatura. Con questo, riconosco di dovere alla tecnologia la mia passione attuale per artisti come Van Dyk, Atb e Fatboy Slim che secondo me costituiscono le nuove frontiere del rock ed amare il big beat e la musica tekno-trance al di là delle mode. Se penso che oggi c’e’ ancora chi crede un Vangelo le canzoni di Renato Zero …

vuoi lasciare un messaggio ai lettori?

Cercate di capire chi siete e non dimenticatevene mai.Anche se ce n’è, gente sparsa per il mondo che vuol confondervi le idee si maschera da santone. Ed è difficile riconoscerli, camuffati come sono……(Intervista di Umberto Stefani)

 

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