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CLASSICS REWIEW

 

 

 

È sempre più fitta l'agenda dei produttori di ristampe, che ci deliziano con dischi grandi e dimenticati, spesso affascinanti anche dal punto di vista grafico. Si tratta solo di decidere da che parte cominciare.

Di Gianni Della Cioppa

RISTAMPE SPECIAL 2

JESSE HARPER 'Shades Of The Midnight Sun' (Acme, 2000)

Curiosa storia questa di jesse Harper, taòentoso chitarrista e cantante neozelandese. Giunse infatti in Inghilterra nel 1966 per trovare un po' di fortuna nel mondo della musica, ma finì per incontrarla nella comunità Krishna americana, della quale è divenuto monaco d'alto rango. Le serer del suo soggiorno inglese, le passava aprendo per gli Andromeda di John Du Cann, mentre di giorno se ne andava in uno studio di registrazione, ad incidere questo disco. Provvide lui a suonare tutte le chitarre e a cantare, l'unico aiuto esterno lo ebbe da un batterista, di cui il tempo ha scordato il nome. Un lavoro dove i sapori di quell'epoca sono rimasti intatti, un tripudio di chitarra wah wah e lisergica. Si potrebbe parlare di devozione hendrixiana, se il fenomeno di Seattle non gli fosse stato contemporaneo, ma è addirittura eccezionale gli fosse vicino nelle corde, dal punto di vista vocale. Da questo punto di vista non avevo mai sentito nulla di simile, se non in via di postumo plagio. Ma si sa di quanto certe sensazioni o umori siano nell'aria di ogni stagione epocale e di quanto, nell'arte in particolare, fenomeni del genere si siano susseguiti nei secoli. Curiosa anche la storia del disco, visto che ne stampò una copia sola. Si, proprio quella che usava per proporsi alle case discografiche, o ai gruppi in circolazione e che da anni è volata nelle mani di un collezionista giapponese per 2500 dollari. Editato una decina d'anni fa dalla Kisisng Spell, con un altro titolo e divcenuto oggetto di desiderio da parte di tanti appassionati, è oggi riproposto dall'ottima Acme nella sua intera originalità. Financo per la copertina, la cui livrea ripropone la grafica del foglio di carta, nel quale lo teneva avvolto il suo autore. (Luigi Papi)

SLAUTER XSTROYES 'Free The Beast' (Monster Records, 1998)

SLAUTER XSTROYES 'Winterkill' (Monster Records, 1999)

Autori di un unico rarissimo album, uscito nel 1985 con una tiratura privata, gli americani SX con 'Winterkill' hanno firmato il classico disco che fa impazzire i collezionisti. Ma il quartetto dell'Illinois è diventato leggendario anche per i contenuti della propria musica, un aspro ed epico heavy metal che rievocava i contemporanei Savatage ed i nostri Dark Quarterer grazie ad alcune puntate verso sonorità darkeggianti. Ma prima di 'Winterkill', la canadese Monster Records aveva pescato anche le registrazioni di 'Free The Beast', l'album che non uscì mai a causa dello scioglimento del gruppo, con l'aggiunta di ben sei brani rispetto ai medesimi originali. Tutto molto bello. Peccato che i Cd siano reperibili soltanto a prezzi d'importazione.

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THE FROST 'Rock and Roll Music' (Akarma, 2001)

Dire che siamo davanti ad un classico appare quasi superfluo, quando si parla di questo fantastico album degli americani The Frost. 'R'n'R music' è un disco su cui si può costruire un'epoca della storia del rock americano, quella dei primi anni settanta, quando il beat e la psichedelia si erano gettati verso un suono più forte, dinamico e rumoroso. In quegli anni l'atmosfera era pervasa di un'eccitazione unica, c'era la sensazione che tutto fosse possibile, che non c'erano né limiti né barriere alla forza scardinatrice del rock, che diventava sempre più hard e meno pop, sempre più heavy e meno soul. A guidare questo roccioso quartetto c'erano Dick Wagner, chitarrista di grandissima ispirazione, Don Hartman pari grado di Dick, Gordy Garris al basso e Bob Rigg, scatenato batterista; insieme eruttavano colate di energia pura come testimonia la lava vulcanica della title track, 'Sweet lady love', 'Black Train' e le due devastanti scorribande dal vivo del secondo lato 'Donny'S Blues' e l'epica 'We Got To Get Out Of This Place' rilettura del classico degli Animals. I The Frost non sranno mai più così massicci e seminali, il rock di quel periodo poche volte eguaglierà l'attitudine selvaggio di questo quartetto di Detroit.

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ATOMIC ROOSTER 'Resurrection' (Akarma, 2001)

Se il rock sotterraneo e nascosto, ma di altissima qualità, degli anni settanta sta vivendo un momento di riscoperta, lo dobbiamo anche alla Akarma, un'etichetta italiana che nel giro di qualche anno ha proiettato i propri orizzonti in tutto il mondo con una serie di straordinarie ristampe, ripescando gruppi classici e magnifici perdenti. Tra questi ultimi vi segnalo con orgoglio gli Atomic Rooster una band inglese che è l'emblema di tutti i gruppi dimenticati dal tempo, ma capace ancora oggi di sconvolgere una vita e di segnare il percorso artistico di molti ascoltatori, non solo giovani. Gli Atomic Rooster si formano nel 1969 sulle ceneri degli Arthur Brown Crazy World dell'omonimo bizzarro cantante, band che aveva in formazione il paranoico, ma geniale tastierista Vincet Crane ed il batterista Carl Palmer, che insieme al bassista Nick Graham danno vita ad una delle band basilari del dark rock progressivo britannico. Il debutto del 1970 che porta il nome del gruppo viene snobbato dalla critica (ma 'Broken Wings', 'Winter' e 'Friday The 13th' non sono canzoni che si dimenticano facilmente), nello stesso anno, con il chitarrista John Du Cann in formazione, arriva il capolavoro terroso ed esoterico di 'Death Walks Behind You' che centra il singolo 'Tomorrow Night', seguito un anno più tardi dall'ottimo 'In Hearing Of Atomic Rooster', dove Crane può liberare parte della follia che lo attanaglierà per tutta la vita, in esibizione deliranti, tra droghe, alcool e la ricerca di un impossibile equilibrio. Ricerca che si esaurisce il 14 febbraio del 1989, giorno scelto da Crane per suicidarsi nella sua casa londinese. Gli Atomic Rooster continueranno a produrre musica fino al 1973 per poi riformarsi nel 1980 per due discreti lavori. Ma è indubbio che il meglio sia racchiuso nei loro primi tre dischi che la Akarma ha racchiuso in un box, con i Cd addobbati di varie canzoni in più e di un libretto foto/biografico bellissimo. Credetemi un pezzo di storia del rock britannico passa anche dalla ruggine incadescente delle tastiere di Vincent Crane, e questa è l'occasione perfetta per (ri)scoprirlo!

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NITZINGER 'John In The Box' (Akarma, 2001)

Dopo aver omaggiato la sponda europea del rock dimenticato, la Akarma vola dall'altra parte del mondo e riporta a galla i Nitzinger, di John Nitzinger, chitarrista texano che può vantare collaborazioni con Alice Cooper, Bloodrock e nel progetto P.M di Carl Palmer e che da qualche anno è tornato on the road con convinzione. Il box è confezionato con i primi tre album dei Nitzinger, dove il nostro ha liberato tutta la sua classe blues, con autentiche gemme di boogie rock, proprio come ha sempre amato fare il più noto Ted Nugent. Lo stile compositivo di John Nitzinger è asciutto e diretto, privo di fronzoli e tutto ciò trabocca nel suo classico debutto 'Nitzinger' del 1971 su Capitol Records, replicato un anno dopo da 'One Foot In History' e nel 1976 dall'ottimo 'Live Better Electrically' per la 20th Century, un lavoro più heavy e meno debitore agli standard del blues, registrato in studio, a differenza di quello che il titolo lascia supporre. Anche nel caso dei Nitzinger non si tratta di una riedizione banale, ma di una scelta attenta e precisa, che ha lo scopo di rivalutare la bravura di un musicista dotato e capace di coniugare il suono dei primi ZZ Top con la solidità di certo hard rock solare di stampo americano. Come sempre anche in questo caso i CD offrono numerose bonus tracks e il cofanetto è accompagnato da un booklet con foto, storia e liriche. Anche per chi ha i vinili originali dei Nitzinger è davvero difficile resistere alla tentazione di aggiungere questo 'John In The Box' alla propria collezione. Per chi non li conosce è quasi un obbligo!

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MOBY DICK 'Moby Dick' (Akarma, 2001)

Questa è la storia di un hard rock band italiana che sognò di conquistare l'Inghilterra e finì con los comparire nelle nebbie londinesi. I Moby Dick erano un quartetto napoletano, del quartiere del Vomero, che nei primi anni settanta sognava di emulare i propri idoli Led Zeppelin, con un suono derivativo, ma bello. Come tante altre bands in giro per il mondo invero. Arrivarono persino a registrare un album a Londra, coperti di promesse e speranze. Oggi quei nastri vengono recuperati ed offerti in pasto ad un pubblico attento e non solo feticista. Che dire? Incredibile, puro hard rock zeppeliniano con tanto di riff spezzati e cantati in controtempo, come amava fare Robert Plant. Le immagini dell'epoca tradiscono un'immagine vagamente glam, ma la musica era puro rock duro con alcune impennate di tutto rispetto come 'What Time Is' e il masterpiece chitarristico 'Sex'n'Express'. Bella (come sempre in casa Akarma), la copertina apribile con delle fitte note che ci fanno scoprire che il bassista Enzo Petrone oggi è nei riformati Osanna e che i vari musicisti hanno sempre mantenuto, più o meno, la fede nel rock. Inoltre il singolo allegato offre tre brani cantati in italiano, che risalgono ai primi passi del gruppo e fanno parte di un demo del 1971. Il tutto raccolto in un elegante CD cartonato. Un'autentica sorpresa!

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L'UOVO DI COLOMBO 'L'Uovo Di Colombo' (VM, 2001)

Uscito originariamente per la Emi nel 1973, l'omonimo album dei L'Uovo Di Colombo è uno di quei dischi che non devono assolutamente mancare nella collezione dei veri prog fans. Il quartetto pagò all'epoca la scarsa promozione della casa discografica (Difetto che alla EMI dura ancora oggi!) e qualche occasione persa per pura sfortuna. Come la partecipazione al III° Festival d'Avanguardi di Napoli, dove la band nonostante fosse in cartellone, fu costretta a non esibirsi. Il quartetto non ha punti deboli, la voce di Toni Gionta è formidabile ed anche i testi hanno spessore, la sezione ritmica (Ruggero Stefani alla batteria, futuro Smandhi e Elio Volpini al basso, futuro Etna) è ottima e le tastiere di Enzo Volpini furoreggiano in ogni brano, per un risultato finale veramente sorprendente, soprattutto se pensiamo che quando si citano i gruppi italiani più importanti, questa band non viene segnalata nemmeno dai cultori più attenti. Eppure 'L'Indecisione', uscita come singolo con 'Turba' come retro, 'Io', 'Vox Dei', 'Visione Della Morte' sono canzoni formidabili e quando l'album si chiude con 'Scherzo', mi viene da pensare che solo un pessimo scherzo del destino ha impedito a questi Uovo Di Colombo di guadagnarsi almeno la fama da culto da consegnare ai posteri. Questa gradita ristampa della rediviva Vinyl Magic ci offre l'occasione per rimediare.

 

 

 

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Rewiew by Gianni Della Cioppa  by Andromeda

                                                                           

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